Le Amministra-tive di Milano e Napoli e la costruzione dell’alternativa
di Elio Matassi
Le recentissime vittorie elettorali di Milano e Napoli, pur con la loro specificità, segnano un momento decisivo, in coerenza con il trendeuropeo che ha visto una fortissima ripresa di tutto lo schieramento di sinistra dalla Francia alla Germania, per la costruzione di un’autentica alternativa al blocco neopopulista che costituisce l’attuale maggioranza parlamentare in Italia.
Si tratta, nel caso di Milano, di un’autentica inversione di tendenza, dato che la Lombardia e il Veneto da circa un ventennio hanno rappresentato l’asse portante del blocco politico e sociale del neopopulismo e Milano può essere considerata a tutti gli effetti come la ‘capitale’ di tale blocco.
Il cosìddetto vento del nord ha capovolto, dopo un lungo periodo, la sua direzione e questo è un dato che deve far riflettere, visto che si tratta della regione più produttiva del nostro scenario nazionale. Sembra essersi interrotta se non addirittura lacerata quella felice sintonia tra le aspirazioni – bisogni dell’elettorato nordista e il blocco neopopulista.
Un altro dato che deve far riflettere sta nel bisogno di partecipazione espresso dalla società civile milanese (basti pensare al centro organizzativo dei comitati Pisapia della città, presieduto da un maestro elementare), un bisogno di partecipazione che non può essere confuso in maniera semplificatoria con la formula, che pure è stata utilizzata, di ‘populismo di sinistra’.
Il populismo è un fenomeno politico regressivo, un rifiuto pregiudiziale della mediazione politica, che comporta necessariamente come automatismo un bisogno di leadership cesaristica, che si impone sempre e comunque dall’alto. Le elezioni amministrative di Milano hanno dimostrato, invece, esattamente l’esigenza inversa, il bisogno di recuperare un rapporto diretto con la mediazione politica da parte della società civile, ossia il recupero di quella dimensione partecipativa della democrazia che da sempre rappresenta l’istanza centrale per alimentare in maniera costruttiva la dimensione più propriamente rappresentativa della democrazia. Tutto questo dimostra in maniera inequivoca quanto sia stata giusta l’intuizione originaria del Partito Democratico di istituire le primarie per la selezione della propria classe dirigente, ossia partire dal coinvolgimento con la società civile per alimentare una scelta e un rinnovamento che devono costituire la cifra di una democrazia che nutra l’ambizione di essere effettiva.
Basti pensare che l’istituto delle primarie, prima deriso dall’attuale blocco neopopulista, dopo la pesante sconfitta delle amministrative, viene considerato dall’attuale maggioranza parlamentare come lo strumento decisivo per dare nuovo impulso al blocco neopopulista.
I dubbi che hanno attraversato in più momenti lo stesso Partito Democratico sul ruolo delle primarie devono essere riconsiderati; ovviamente si tratta di un istituto che deve essere costantemente perfezionato ma che non può essere abbandonato, perché rappresenta il punto di partenza di un nuovo impegno politico fondato sulla partecipazione e sulle passioni individuali.
Qualcuno ha detto giustamente che la politica è un’arte e non una scienza, cercando di argomentare con questa formula il ruolo svolto dalla flessibilità individuale all’interno delle molteplici forze in campo che concorrono a determinare le linee tendenziali del movimento della storia e della politica.
Il risultato delle amministrative di Napoli dato che, nell’ultimo ventennio le amministrazioni erano state tutte di centro sinistra e avevano largamente disatteso il loro compito, dimostra da un’altra angolazione, lo stesso bisogno di partecipazione e di coinvolgimento individuale.
La scelta, quasi plebiscitaria, di affidarsi ad un magistrato, celebre per alcune sue inchieste invise al potere costituito, ha dimostrato in maniera inequivoca, contro tutte le demonizzazioni pregiudiziali della Presidenza del Consiglio, quali siano le aspettative e le esigenze della società civile napoletana, di tornare ad essere protagonista nella costruzione e nella rinascita di Napoli.
Anche in questo caso, comunque, questo movimento dal basso non può essere confuso con il fenomeno populistico che rappresenta linee di tendenza politiche completamente diverse.
Queste due vittorie, molto rilevanti, costituiscono per il Partito Democratico il punto di partenza decisivo per la costruzione di un’alternativa credibile al blocco neopopulista, ormai in via di logoramento.
Gli schemi di cui si è sempre parlato, nella prima metà della legislatura, sulle strategie possibili per la costruzione dell’alternativa, ossia l’alleanza con il cosìddetto terzo polo o, con una formula ancora più esplicita, con il cosìddetto centro, oppure l’alleanza e la riunificazione di tutta la sinistra (il movimento di Vendola, l’Italia dei valori e quello che rimane della federazione della sinistra - Rifondazione comunista, Comunisti italiani e verdi - ) sono schemi sostanzialmente superati dall’attuale fase politica. Sono appunto schemi che si sovrappongono al movimento naturale della società civile, che cercano di indirizzarla dall’alto e di controllarne movimento e finalità.
Bisogna rovesciare questa impostazione, per assecondare le aspirazioni e le esigenze che nascono dal basso e che, indipendentemente da formule e schieramenti, impongono un’alternativa al blocco neopopulista.
Proprio questo capovolgimento dimostra quanto sia stata corretta l’intuizione che ha portato alla nascita del Partito Democratico, un partito che riassume in sé le esigenze di un centro non statico e di una sinistra effettivamente riformista. Questa nascita può raccogliere e interpretare l’impulso irresistibile che nasce dal basso, fornendogli il naturale sbocco politico - istituzionale. Proprio per questo sono errate e completamente fuori misura quelle considerazioni che tendono a ravvisare analogie e somiglianze con la situazione del 1993 – 1994, quando dopo il trionfale successo alle amministrative della sinistra, vi fu la netta sconfitta del blocco progressista nelle politiche successive, con la situazione attuale.
La differenza tra le due situazioni sta nella nascita del Partito Democratico, che costituisce un fattore di stabilità e nel contempo di innovazione che non può essere sottovalutata.
Le alleanze vanno costruite a partire dal basso e non con le consuete liturgie oligarchiche, che nell’attuale fase politica stanno dimostrando tutta la loro impraticabilità ed inconsistenza.